
Giugliarelli: "Sogno di vedere perugini giocare al Curi"
Jacopo Giugliarelli, responsabile del settore giovanile del Perugia, è in assoluto uno dei più giovani, tra le squadre professionistiche italiane, a rivestire un ruolo del genere. Classe 1986, il dirigente del Grifone è un umbro doc, cresciuto come dirigente alla PGS Don Bosco e al Santa Sabina, prima di intraprendere, cinque anni fa, l’esperienza nella squadra del capoluogo, prima come responsabile dell’attività di base, quindi dell’intero settore giovanile. E, rispettando la sua età anagrafica, ha dato un’impostazione al settore giovanile perugino nuova e che mira a rinnovare e a cambiare il modo di far crescere i giovani all’ombra del Renato Curi, partendo da un innovativo studio sui giocatori nati in Umbria.
Direttore, con il Perugia avete svolto un importante studio sui calciatori umbri e che vi ha portato poi ad iniziare un lavoro di monitoraggio intenso del territorio. In cosa consisteva questo studio?
“Il percorso è iniziato cinque anni fa grazie all’iniziativa del presidente Santopadre e dell’allora direttore sportivo Roberto Goretti. Lo studio si concentrava sui giocatori umbri nel professionismo e su come fossero arrivati a quello status, per poi spostare l’analisi sui praticanti del nostro territorio, partendo dalle categorie più piccole. Lo studio ci ha rivelato come la maggior parte dei giocatori capaci di arrivare ad alti livelli iniziano a giocare per società di matrice professionistica tra i 9 e i 12 anni. Basandoci su questo principio, abbiamo ricostruito l’area scouting e l’area tecnica, cercando di procedere in maniera sinergica, ponendo il nostro focus sull’attività di base, formando gruppi ridotti che avessero non solo l’obiettivo di giocare, ma di arricchirsi con esperienze importanti”.
Per esempio?
“Per esempio facendogli fare molte esperienze di gioco in test match con squadre italiane ed estere di alto livello. Ci siamo resi conto che per i nostri ragazzi non poteva più essere sufficiente giocare solo i campionati regionali, e che avessero bisogno, di un arricchimento calcistico e culturale, grazie all’incontro ed al confronto con realtà diverse . Li facciamo allenare 4-5 volte a settimana da subito, cerchiamo di fargli fare tanta attività con la palla e di renderli capaci di affrontare le difficoltà che troveranno nel gioco, in modo che siano protagonisti e responsabili del loro miglioramento sin da subito”.
Prima accennavi ad un rinnovo dell’area scouting. A cosa ti riferisci e come svolgete la vostra attività in tal senso?
“In primo luogo ci siamo creati un modello di giocatore ideale: nell’attività di base non lavoriamo sui ruoli, piuttosto cerchiamo di individuare bambini con buone attitudini, che abbiano la capacità di prendere decisioni in campo, che sappiano orientare il proprio corpo e sappiano trarre informazioni usando sia il fisico che la visione, che capiscano in fretta quello che hanno intorno. Dopo aver creato questo modello abbiamo cercato di formare i nostri osservatori, sapendo che lo scopo che ci poniamo non è quello di creare delle squadre ma di fare dei gruppi; i ruoli, verranno solo poi, circa dai Giovanissimi in avanti. Non vincoliamo la nostra attività a sistemi di gioco definiti, è importante che emerga la naturalezza del giocatore. L’ideale è trovare ragazzi che abbiano velocità di pensiero, capacità di usare entrambi i piedi, orientarsi in campo in base ai riferimenti statici e dinamici. Ragazzi che si sappiano smarcare, che sappiano passare, ricevere e calciare la palla. Questi sono i cardini su cui cerchiamo i giocatori”.
E avete deciso di fare questo soprattutto a livello regionale.
“Sì, per noi è la selezione più importante perché poi a livello nazionale non abbiamo una grande rete scouting, e il tutto viene colmato dal grande apporto che viene dalle nostre Academy: nel territorio nazionale se ne contano oltre 130. Quindi la nostra base preferiamo costruirla concentrandoci sul territorio. Va sottolineato che Perugia è la quinta provincia per estensione in Italia e quindi c’è comunque tanto lavoro da fare anche solo muovendosi qui e nelle province limitrofe”.
In Umbria il numero di praticanti, soprattutto nell’attività di base, è molto basso: voi come Perugia cercate quindi di invertire la tendenza?
“Sì non ci sono molti praticanti ma va sottolineato che, in ogni caso ci sono oggi circa 30 professionisti nati in Umbria, la maggior parte di questi si concentra tra le annate 1984 e 1994. L’obiettivo è che sempre più ragazzi provenienti dal vivaio del Perugia arrivino nel professionismo o perlomeno a giocare in categorie importanti. Sarebbe bello che la nostra regione arrivasse ad avere numeri importanti da questo punto di vista”.
Uno dei suoi modelli in effetti è l’Ajax.
“Quando sono stato in Olanda e ho potuto vedere con mano il lavoro svolto dall’Ajax e sono rimasto impressionato dal clima che si respira e dalla capacità di accompagnare il talento attraverso un percorso formativo straordinario. Infatti, pur partendo da una selezione concentrata intorno a 90 chilometri da Amsterdam, ogni anno riescono a portare almeno due ragazzi a giocare la Champions League. Indice di come il percorso di selezione debba essere poi supportato da un adeguato percorso metodologico fuori e dentro al campo”.
Le piacerebbe che il Perugia fosse l’Ajax del Centro Italia?
“Non voglio essere presuntuoso, diciamo che mi piacerebbe che nei prossimi anni il Perugia avesse sempre più perugini che scendono in campo al Curi davanti ai loro concittadini. Questo è l’obiettivo mio e del nostro presidente, che ha scelto di far ripartire il settore giovanile con questa idea. La strada è ancora lunga ma l’entusiasmo non ci manca”.
Credit photo: A.C. Perugia.com