Un nuovo viaggio! Melfa ci racconta il mondo Lodigiani

Con la Lodigiani iniziamo una nuova rubrica che ci vedrà raccontare, attraverso le parole dei protagonisti, i migliori settori giovanili sul territorio italiano. Sarà un viaggio itinerante, che parte dalla Capitale con il club biancorosso e che si sposterà, settimana dopo settimana, lungo tutto lo Stivale.
Il direttore generale ha solo 32 anni e, per fortuna, nella sua visione del calcio si sentono tutti. La carriera è già matura, si sviluppa in 8 stagioni da direttore sportivo al Giardinetti e, poi, si completa nelle ultime annate con il club de La Borghesiana. Ciò che propone sono idee nuove, futuribili e a tratti quasi estreme ma – soprattutto – scientificamente valide. Patrizio Melfa ci racconta così il mondo Lodigiani, una delle società storiche di Roma.
L’importante è essere riusciti a lasciare nei ragazzi una filosofia di gioco e una di vita” è una tua recente dichiarazione. In cosa consistono queste due idee?
“Alla base delle due si trova una distinzione: chi diventa solo un calciatore e chi diventa un uomo, felice. E poi magari fa il calciatore. Ciò può avvenire se fin da piccoli si è abituati a celebrare gli sbagli e allentare la pressione. Ad esempio: quando un nostro bambino commette un errore, lo festeggiamo e poi lo correggiamo con attenzione. In questo modo si crea un’ambiente d’apprendimento in cui il ragazzo unirà lo spirito di competizione al rispetto degli altri e delle regole”.
Oltre alle parole, i fatti: Dicorato e Ciuferri alla Roma, Placidi all’Ascoli, Carrettucci al Bologna. Se dovessi ritrovare una matrice comune che la Lodigiani ha lasciato in loro, quale sarebbe?
“Oltre a quella umana, certamente una tecnica. I giocatori che hai nominato li abbiamo cresciuti per fargli scegliere la giocata migliore nel minor tempo possibile, senza esasperare il “quanto è alto” o il “quanto pesa”. I nostri calciatori imparano a sapersi posizionare e come dare il pallone, senza imporre loro schemi immutabili: dovranno saper scegliere. Sul lato personale, il nostro motto racchiude tutto: “Campioni si diventa”.
La comunicazione con i genitori nei settori giovanili spesso è un fattore sottovalutato. Quanto è importante e come la gestite?
“I genitori devono essere i nostri più grandi alleati perché noi passiamo 7/8 ore alla settimana con i ragazzi, il resto è con la famiglia. Chi mugugna attaccato alla rete per l’errore di un bambino, non fa il suo bene.
In merito, proviamo a fare il massimo attraverso il progetto “Emotional Sport” che stiamo portando avanti con la collaborazione di Paolo Mai; infatti lavorando sull’educazione emozionale con i nostri allenatori riusciamo a tirare fuori il meglio dai ragazzi, è un dato scientifico”.
Può capitare che i giocatori vengano avvicinati sin da giovani dai procuratori, la società come valuta questa pratica e come si pone con queste figure?
“Fanno parte del sistema in tutto il mondo e possono anche contribuire al bene della squadra. Bisogna smettere di cercare il capro espiatorio. Poi, nel raro caso in cui si verifichino delle condizioni estremamente negative, a quel punto bisogna intervenire”.
Vivendo il settore dall’interno, quali sono le aree in cui i settori giovanili non professionisti dovrebbero migliorare di più?
“Nella parte fuori dal campo. Chi pensa di avere un fenomeno in squadra oppure chi richiede un calciatore, non sempre possiede i dati necessari per poterlo valutare nella sua interezza. Noi ci impegniamo a farlo senza invadere lo spazio personale dei ragazzi: a ogni giocatore dai 14 anni in su viene proposto di lavorare con una psicologa per capire obiettivi e attitudini, così da poter interagire con una persona e non solo con un atleta”.
Se potessi imporre una tua regola nei settori giovanili, quale sarebbe?
“Ne vorrei inserire tante… ma ne scelgo una romantica. Nei piccoli vorrei il “cartellino verde”: ogni 5 gesti di sportività genuina si guadagna un gol per una squadra, o comunque un vantaggio tangibile”.