
Piccareta: "Voglio arrivare al cuore dei ragazzi"
Dai libri alla Roma, passando per diversi paesi europei. Questa è in estrema sintesi la carriera di Fabrizio Piccareta, attuale allenatore della Primavera della Spal intervenuto come relatore al Workshop 2021 organizzato da La Giovane Italia.
Una vita professionale non convenzionale per Piccareta, come del resto il suo modo di intendere il calcio e il rapporto con i suoi ragazzi: “Dopo una carriera calcistica piuttosto mediocre, visto che non ho raggiunto più della Serie D, dovevo capire cosa fare nella vita. Ho dovuto inventarmi una vita professionale: dato che la mia passione oltre al calcio sono sempre stati i libri, ho mollato il lavoro che avevo e ho aperto una libreria nel mio paese in provincia di Imperia. Da piccola che era inizialmente è diventata grande e per 12 anni è stato il mio lavoro prevalente. Nel frattempo non ho abbandonato il calcio e, in parallelo alla mia passione per i libri, iniziato a coltivare l’idea di cominciare ad allenare. Come molti ho iniziato nelle giovanili dilettanti, avendo poi varie esperienze. A Coverciano ho incontrato Paolo Di Canio, lui fu colpito dalle mie idee sul calcio e quando iniziò la sua carriera di allenatore mi propose di andare con lui in Inghilterra. Furono 3 anni fantastici, perché l’Inghilterra non ha eguali dal punto di vista professionale coerentemente con il loro amore per il calcio. Quando Paolo ha smesso di allenare, ho iniziato il mio percorso da solo. Sono andato prima in Portogallo come allenatore in seconda in una squadra di Seconda Divisione e, dopo un periodo di inattività, mi è arrivata la proposta di fare il vice allenatore in Finlandia. Questa possibilità è nata perché io ho fatto i corsi Uefa A e Uefa Pro in Scozia, perché quando ho iniziato il corso Uefa A lavoravo in Inghilterra. Al corso Uefa Pro c’era un allenatore finlandese, che a fine corso prese in mano una squadra di Serie A finlandese ovvero l’Inter Turku e mi chiese di collaborare con lui. Io ebbi un po’ di perplessità all’inizio, perché ho sempre pensato a questi paesi del nord come ad una sorta di esilio a livello calcistico. Arrivato là, mi resi conto che il movimento calcistico finlandese non era affatto male. Dopo qualche mese l’allenatore dette le dimissioni, la società mi chiese di prendere il suo posto e io accettai alleando la squadra anche l’anno successivo. Volevo continuare lì, perché la mia famiglia si trovava bene e mia figlia più grande aveva trovato anche lavoro. Arrivò però la proposta della Roma: mi allettava l’idea di tornare a lavorare in Italia e per di più in una società come la Roma e insieme alla mia famiglia abbiamo deciso di tornare in Italia. Sono stato tre anni alla Roma e il presente adesso dici Spal”.
La particolarità di Piccareta come tecnico è tutta racchiusa in un aneddoto, risalente alla finale Under 17 che poi ha vinto con la Roma. A fine primo tempo la sua squadra stava vincendo 1-0, ma sorprendentemente il mister decise di fare tre cambi: “Io vorrei essere tutto meno che convenzionale. Ho deciso di cambiare perché come allenatore devo andare oltre: non devo vedere il risultato, ma cosa risulta dalla partita. In quel momento la partita stava dicendo qualcosa di diverso dal risultato numerico. Non vedevo la mia squadra giocare il calcio che mi aveva abituato a vedere e quindi, nonostante stessimo vincendo, ho voluto cambiare per rimettere quelle condizioni tecniche e tattiche per ridare alla squadra la possibilità di esprimersi in un certo modo. Son quelle cose che se ti vanno bene sei un genio sennò hai sbagliato: ho avuto fortuna ed è andata bene”.
Chiusura su come intende il rapporto con i ragazzi: “Il percorso tecnico e quello umano non possono essere disgiunti. Se la testa è tutto, comprende l’intelligenza, la cultura e l’emotività. Bisogna insegnare ai ragazzi che certi comportamenti danneggiano loro stessi, ma anche i compagni. Prima esisteva una sorta di nonnismo, mentre adesso vedo questi ragazzi nello spogliatoio ognuno con il loro cellulare e nel loro piccolo mondo. Però in qualche maniera stanno trovando una forma per comunicare attraverso questo strumento. Io quindi sarei cauto a demonizzare questo strumento, perché per molti ragazzi è più facile comunicare all’esterno quello che sentono. Attraverso queste dinamiche social, vedo molta unione: riescono ad esprimere dei sentimenti che magari a tu per tu non esprimerebbero. Questo è un aspetto positivo. La parola chiave è empatia: io devo essere attento ai comportamenti dei ragazzi, ma anche capire da dove partono e sapere che non si può trattare tutti allo stesso modo. Magari qualcuno ha alle spalle una famiglia con basi culturali e che li ha indirizzati in un certo modo, mentre altri non ce l’hanno. Io vorrei essere ricordato come qualcuno che li ha fatti sentire bene. Quando ho vinto quella finale con la Roma, l’ho dedicata ad un ragazzo che per motivi di sfortuna quell’anno non aveva mai giocato. Il giorno dopo quel ragazzo mi ha mandato un messaggio che resterà per sempre nella mia vita. Quando arrivi a questo vuol dire che sei arrivato al cuore delle persone: non importa se diventeranno grandi calciatori. Se i ragazzi, magari da allenatori, faranno propri i modi con cui io interagivo con loro, sarebbe una soddisfazione enorme”.
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